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Che cos'è il NEGLECT


 

“Il paziente con neglect grave si comporta non solo come se la metà dell’universo avesse improvvisamente perso il suo significato, come se non esistesse più, ma addirittura come se egli non si aspettasse più nulla da quella parte. Per il paziente neglect quella parte di mondo ha perso ogni interesse possibile”

(M. Marsel Mesulam, 1985)

 

COS’È?

 

Nella grande maggioranza dei casi (30-40%), il neglect è causato da una lesione dell’emisfero cerebrale destro (causata da ictus, tumori, traumi…)e quindi, la persona che ne è affetta, avrà:

a) una ridotta tendenza a rispondere a tutti stimoli provenienti dal suo lato sinistro;

b) una ridotta tendenza ad esplorare lo spazio sinistro.

Questa ridotta tendenza o l’incapacità di esplorare lo spazio sinistro del mondo produce una sintomatologia complessa che comporta conseguenze nella vita di tutti i giorni con minore autonomia nella quotidianità.

La sintomatologia del neglect si riduce in modo spontaneo con il passare del tempo; studi riportano un certo grado di recupero spontaneo durante il primo mese e, come, dopo tale periodo, i disturbi residui tendano a permanere o a evolversi con estrema lentezza. 

TORNARE A CASA 

Il neglect è una sindrome semplice da diagnosticare e, quindi, è possibile fin dai primissimi giorni di ricovero in ospedale iniziare un trattamento neuroriabilitativo mirato.

Lo spazio di sinistra viene valutato dallo Psicologo/Neuropsicologo attraverso una serie di compiti carta e matita che posso essere somministrati anche a letto del paziente.

Un esempio è il “test di bisezione di linee” che consiste in tre segmenti di uguale lunghezza. Il più in alto è spostato verso destra, quello più in basso, invece, è spostato verso sinistra. Il compito è quello di dividere a metà le linee con in segno.





neglectpng

Questo è un modello esemplificativo di un paziente colpito da ictus; come si può facilmente notare, la parte sinistra delle linee non esiste. La metà segnata, infatti, è spostata tutta verso destra.

Finito il trattamento riabilitativo intensivo, si dove continuare con alcune sedute a settimana anche quando si torna a casa. Ci sono però alcuni accorgimenti che la famiglia può adoperare per rendere il rientro a casa meno complicato per il proprio caro.

 

·     Tutto a destra!: per facilitare il rientro a casa, bisogna cercare si spostare alla destra del “malato” tutti gli oggetti che posso essergli utili in un dato momento.

Se seduto sul divano per vedere un film, mettere a destra occhiali (se li usa), telecomando (forse avrà bisogno di alzare/abbassare il volume), popcorn, una bibita dei fazzolettini… in questa maniera sarà anche più autonomo.

·     Strumenti di compensazione: come calendari e orologi per permettere alla persona affetta da neglect di potersi orientare nell’arco della giornata. Uno degli aspetti, se colpiti da neglect, è un disorientamento spazio-tempo.

·     Ausilio esterno di facilitazione: se alla persona colpita da neglect piace leggere/fare le parole crociate si può utilizzare un “segale” visivo posto a sinistra (ad esempio del brano da leggere) che catturi l’attenzione; solitamente tale segnale corrisponde a una banda rossa.

Il segnale rosso catturerà l’attenzione della persona verso sinistra permettendo, in questo modo, un’efficace lettura da sinistra verso destra senza omettere nessuna informazione.

Un sito utile dove il famigliare può inizialmente scaricare dei cruciverba e articoli di attualità semplificati è www.informazionefacile.it

Da ricordare, inoltre, che da un punto di vista psicologico il paziente può essere depresso per la nuova condizione di malattia e quindi deve essere supportato tramite colloqui di sostegno finalizzati al miglioramento del tono dell’umore e all’adattamento alla nuova condizione di vita motivando alla prosecuzione di interventi utili al raggiungimento di un maggior grado di benessere.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Mazzucchi A. La Riabilitazione Neuropsicologica. Premesse Teoriche e Applicazioni Cliniche. Elsevier Masson. Paesi Bassi (2006).

 

Wilson B., Cockburn J., Halligan P. Development of a Behavioural Test of Visuospatial Negect. “Archives of Physical Medicine and Rehabilitation”, n.159, 1987. 63-72.



La Malattia di Alzheimer

COS’È?

 

È una tipologia di demenza che intacca, in primis, la memoria per poi peggiorare in disturbi neurocognitivi e neurodegenerativi più gravi.

È, quindi, una patologia acquisita con andamento ingravescente che interferisce con le normali attività quotidiane.

 

 

COSA SUCCEDE?(Quadro clinico)

 

1.    Disturbi aspecifici:come, ad esempio, alterazione del ritmo sonno-veglia; può presentarsi uno stato depressivo causato sia dalla malattia sia dovuto ai fallimenti di attività quotidiane.

Il disturbo, però, che fa scattare l’allarme è il deficit della memoria! Una difficoltà intesa come l’incapacità di apprendere nuove informazioni (memoria anterograda) nella vita di tutti i giorni. Ad esempio: non ricordarsi cosa aver mangiato a cena; dove aver appoggiato gli occhiali, dove aver parcheggiato la macchina… Con il proseguire della malattia, peggiora anche il deficit di memoria: dal non ricordarsi di fare qualcosa (memoria prospettica; esempio: “domani devo ricordarmi di pagare la bolletta”) fino ai veri e propri “vuoti di memoria” (episodi confusionali) che sorprendono la persona in maniera improvvisa.

Alla memoria seguono il disorientamentospaziale e temporale (confusione con luoghi e tempo) e disturbi del linguaggio(soprattutto nel trovare una parola e i nomi delle persone) già in fase iniziale.

 

2.    Disturbi dell’attenzione: il paziente con malattia di Alzheimer non riesce a svolgere contemporaneamente più compiti; non riesce a concentrarsi per tanto tempo; non è in grado di inibire comportamenti inadeguati o erronei al contesto.

 

3.    Cambiamento dell’umore: i malati di Alzheimer possono diventare confusi, sospettosi, depressi, spaventati o ansiosi sia a casa, al lavoro, con gli amici o in ambienti a loro non familiari.

 

 

 

COSA FARE?

 

Studi in letteratura degli ultimi anni, hanno proposto cosa poter fare con il malato di Alzheimer una volta confermata la diagnosi. Queste ipotesi di trattamento non prevedono l’uso di farmaci e sono efficaci sia per il malato che per il familiare che lo segue (care giver). Bisogna sempre tenere a mente che la persona affetta da Alzheimer non ha bisogno solo di assistenza, ma è in grado (e deve!) trarre ancora piacere dalla vita.

 

1.     Chiedere consulenza e assistenzaagli specialisti del settore (Psicologi e Neuropsicologi) sia per la persona affetta dal morbo che per il care giver. Per il malato, se necessario, un inserimento in centri diurni, cioè strutture che offrono supporto e assistenza alle persone in faseiniziale di malattia. Un esempio è quello della terapia occupazionaleche consiste in una vera e propria rieducazione. Vengono proposte diverse attività e occupazioni come mestieri, attività domestiche e ludiche con lo scopo di recuperare e potenziare abilità cognitive e funzionali residue e favorire la socializzazione.

 

2.     Training cognitivi(per il malato): “esercizi” mirati per la mente proposti da persone specializzate del settore (Psicologi e Neuropsicologi). Una “palestra per la mente” in cui vengono svolte attività per stimolare la conversazione e le relazioni con gli altri e proposti esercizi sull’orientamento spaziale e temporale, l’attenzione, la memoria, il linguaggio, la logica e le abilità grafico-manuali.

Questo training andrà a migliorare le semplici attività della vita quotidiana facendo sì che la              persona affetta, possa essere autonoma più a lungo.

 

3.     Psicoterapeuta/Psicologo: sia per il malato in fase iniziale e post diagnosi che per il care giver. Assistere una persona cara affetta da demenza è un peso troppo grande da gestire da soli; ci si sente in colpa, a volte in imbarazzo, altre ancora impotenti. Il ricordo di quello che era e la preoccupazione per quello che sarà andranno a influire sull’umore e le relazioni sia in famiglia che con gli amici. Rivolgersi, quindi, a uno specialista non è da considerarsi come una sconfitta personale (qualcosa di cui vergognarsi perché non si è in grado di affrontare la situazione da soli), ma un punto di partenza per un lungo periodo di accudimento del familiare grazie al quale si potrà ancora cogliere qualcosa di positivo ogni giorno.






BIBLIOGRAFIA

 

Vallar G., Papagno C. (2007). Manuale di Neuropsicologia. Il Mulino, Bologna.

 

Olazarán J., Reisberg B., Clare L., Cruz I., Peña-Casanova J., Del Ser T., Woods B., Beck C., Auer S., Lai C., Spector A., Fazio S., Bond J., Kivipelto M., Brodaty H., Rojo JM., Collins H., Teri L., Mittelman M., Orrell M., Feldman HH., Muñiz R. (2010). Nonpharmacological therapies in Alzheimer's disease: a systematic review of efficacy. Dementia and Geriatric Cognitive Disorders. 30: 161-178.

 

 


Dott.ssa Paola Montani

Responsabile Area Anziani e Neuropsicologia Clinica di CESPIC

LA MEMORIA

COS’É?

 

La memoria viene definita come la capacità di immagazzinare informazioni che si possono recuperare quando necessario; è la capacità di conservare traccia delle nostre esperienze passate e di richiamarle per poterle utilizzare nel presente e nel futuro. Ha il compito di generare nuove conoscenze e rappresenta, quindi, la nostra identità.

 

 

TANTE MEMORIE DIVERSE

 

La memoria non è una sola, ma è un insieme di memorie diverse, le quali hanno compiti e caratteristiche specifiche.

La prima grande distinzione da fare è tra memoria a lungo termine(MLT) ememoria a breve termine(MBT); mentre la prima è in grado di ritenere i ricordi per tempi molto lunghi (quasi per sempre!), la seconda è in grado di ricordare determinate informazioni per pochissimo tempo (massimo 30 secondi!).

Esistono, poi, altri tipi di memoria:

·     La memoria procedurale: ci permette di eseguire dei compiti (andare in bicicletta, suonare uno strumento, guidare la macchina..) in maniera quasi automatica!

·     La memoria semantica: riguarda tutte le conoscenze che abbiamo sul mondo che ci circonda e le conoscenze su noi stessi e i nostri conoscenti. Tutte queste informazioni le abbiamo acquisite nel corso della vita sia scolastica che personale.

·     La memoria prospettica: è la capacità di ricordarsi di fare qualcosa a distanza di tempo (corrisponde a una specie di “agenda mentale”) come ad esempio ricordarsi di prendere una medicina a una determinata ora, ricordarsi di chiamare qualcuno, domani ricordarsi di comprare il latte..

 

Quando ci accorgiamo che la nostra memoria non funziona più tanto bene, non dobbiamo pensare che tutti i diversi tipi di memoria sopra descritti non stiano più lavorando come dovrebbero. I disturbi di memoria sono, infatti, selettivi. Colpiscono, cioè, una determinata memoria lasciando integra un’altra.

 

 

 

COSA FARE?

Se si soffre di disturbi di memoria molto lievi e ce ne rendiamo conto, possiamo adottare delle strategie di compensazione utili nel fronteggiare e ridurre gli effetti spiacevoli del non ricordare.

Si possono distinguere due tipologie di aiuto: gli ausili esternie gli ausili interni. I primi servono per alleviare le difficoltà in maniera pratica, mentre i secondi corrispondono a delle e vere e proprie strategie mentali elaborate dalla stessa persona che soffre di un disturbo di memoria.

 

·     Promemoria/post-it, agende, liste, lavagne, sveglie…: aiuti esterni molto utili, soprattutto per quando riguarda la memoria prospettica (ricordarsi di fare qualcosa). Questi escamotages sembrano banali, ma sono determinanti se si pensa a una persona che, ad esempio dopo un trauma cranico, soffre di un lieve disturbo di memoria e dopo un periodo di degenza viene nuovamente inserito in un contesto lavorativo.

 

·     Mnemotecniche: sono delle tecniche di memorizzazione che permettono di memorizzare le informazioni in maniera più veloce e facile e vengono “inventate” direttamente dalla persona interessata. Ecco alcuni esempi:

 

¨    Il metodo delle iniziali: si costruisce una parola con le inziali delle informazioni da ricordare.

La più famosa, per la maggior parte di noi, è stata utilizzata nelle ore di geografia alle scuole elementari per imparare i nomi delle Alpi: “Ma Con Gran Pena Le ReCa Giù”.

¨    Il metodo delle parole associate: prevede l’accoppiamento di parole così che una rievochi un’altra (mucca-latte; farina-pane; maglia-lavanderia).

¨    Il metodo delle storie: le informazioni da ricordare sono inserite all’interno di una storiella inventata (meglio se buffa o assurda).

 

Bisogna, però, sottolineare che il metodo delle mnemotecniche non è efficace per i gravi disturbi di memoria.

 

 

Le brevi indicazioni qui elencate, possono dare un aiuto concreto a persone che, come abbiamo già ripetuto, soffrono di lievi disturbi di memoria e ne sono consapevoli.

Per persone, invece, che soffrono si gravi amnesie (cioè la completa perdita di memoria) dovute a traumi cranici o malattie, è necessario un trattamento riabilitativo ad hoc. Nei casi più gravi, è d’obbligo rivolgersi a esperti del settore (Psicologo/Neuropsicologo) che impronteranno un intervento di riabilitazione per il paziente in modo che la perdita (completa o parziale) della memora non diventi troppo impattante nella vita di tutti i gironi né per la persona che ne soffre né per famigliari e amici.


Dott.ssa Paola Montani
Responsabile Area Anziani e Neuropsicologia Clinica di CESPIC

 

 

BIBLIOGRAFIA

Mazzucchi A. (2008). La riabilitazione Neuropsicologica. ElsevierMasson S.r.l., Milano.