La Malattia di Alzheimer

COS’È?

 

È una tipologia di demenza che intacca, in primis, la memoria per poi peggiorare in disturbi neurocognitivi e neurodegenerativi più gravi.

È, quindi, una patologia acquisita con andamento ingravescente che interferisce con le normali attività quotidiane.

 

 

COSA SUCCEDE?(Quadro clinico)

 

1.    Disturbi aspecifici:come, ad esempio, alterazione del ritmo sonno-veglia; può presentarsi uno stato depressivo causato sia dalla malattia sia dovuto ai fallimenti di attività quotidiane.

Il disturbo, però, che fa scattare l’allarme è il deficit della memoria! Una difficoltà intesa come l’incapacità di apprendere nuove informazioni (memoria anterograda) nella vita di tutti i giorni. Ad esempio: non ricordarsi cosa aver mangiato a cena; dove aver appoggiato gli occhiali, dove aver parcheggiato la macchina… Con il proseguire della malattia, peggiora anche il deficit di memoria: dal non ricordarsi di fare qualcosa (memoria prospettica; esempio: “domani devo ricordarmi di pagare la bolletta”) fino ai veri e propri “vuoti di memoria” (episodi confusionali) che sorprendono la persona in maniera improvvisa.

Alla memoria seguono il disorientamentospaziale e temporale (confusione con luoghi e tempo) e disturbi del linguaggio(soprattutto nel trovare una parola e i nomi delle persone) già in fase iniziale.

 

2.    Disturbi dell’attenzione: il paziente con malattia di Alzheimer non riesce a svolgere contemporaneamente più compiti; non riesce a concentrarsi per tanto tempo; non è in grado di inibire comportamenti inadeguati o erronei al contesto.

 

3.    Cambiamento dell’umore: i malati di Alzheimer possono diventare confusi, sospettosi, depressi, spaventati o ansiosi sia a casa, al lavoro, con gli amici o in ambienti a loro non familiari.

 

 

 

COSA FARE?

 

Studi in letteratura degli ultimi anni, hanno proposto cosa poter fare con il malato di Alzheimer una volta confermata la diagnosi. Queste ipotesi di trattamento non prevedono l’uso di farmaci e sono efficaci sia per il malato che per il familiare che lo segue (care giver). Bisogna sempre tenere a mente che la persona affetta da Alzheimer non ha bisogno solo di assistenza, ma è in grado (e deve!) trarre ancora piacere dalla vita.

 

1.     Chiedere consulenza e assistenzaagli specialisti del settore (Psicologi e Neuropsicologi) sia per la persona affetta dal morbo che per il care giver. Per il malato, se necessario, un inserimento in centri diurni, cioè strutture che offrono supporto e assistenza alle persone in faseiniziale di malattia. Un esempio è quello della terapia occupazionaleche consiste in una vera e propria rieducazione. Vengono proposte diverse attività e occupazioni come mestieri, attività domestiche e ludiche con lo scopo di recuperare e potenziare abilità cognitive e funzionali residue e favorire la socializzazione.

 

2.     Training cognitivi(per il malato): “esercizi” mirati per la mente proposti da persone specializzate del settore (Psicologi e Neuropsicologi). Una “palestra per la mente” in cui vengono svolte attività per stimolare la conversazione e le relazioni con gli altri e proposti esercizi sull’orientamento spaziale e temporale, l’attenzione, la memoria, il linguaggio, la logica e le abilità grafico-manuali.

Questo training andrà a migliorare le semplici attività della vita quotidiana facendo sì che la              persona affetta, possa essere autonoma più a lungo.

 

3.     Psicoterapeuta/Psicologo: sia per il malato in fase iniziale e post diagnosi che per il care giver. Assistere una persona cara affetta da demenza è un peso troppo grande da gestire da soli; ci si sente in colpa, a volte in imbarazzo, altre ancora impotenti. Il ricordo di quello che era e la preoccupazione per quello che sarà andranno a influire sull’umore e le relazioni sia in famiglia che con gli amici. Rivolgersi, quindi, a uno specialista non è da considerarsi come una sconfitta personale (qualcosa di cui vergognarsi perché non si è in grado di affrontare la situazione da soli), ma un punto di partenza per un lungo periodo di accudimento del familiare grazie al quale si potrà ancora cogliere qualcosa di positivo ogni giorno.






BIBLIOGRAFIA

 

Vallar G., Papagno C. (2007). Manuale di Neuropsicologia. Il Mulino, Bologna.

 

Olazarán J., Reisberg B., Clare L., Cruz I., Peña-Casanova J., Del Ser T., Woods B., Beck C., Auer S., Lai C., Spector A., Fazio S., Bond J., Kivipelto M., Brodaty H., Rojo JM., Collins H., Teri L., Mittelman M., Orrell M., Feldman HH., Muñiz R. (2010). Nonpharmacological therapies in Alzheimer's disease: a systematic review of efficacy. Dementia and Geriatric Cognitive Disorders. 30: 161-178.

 

 


Dott.ssa Paola Montani

Responsabile Area Anziani e Neuropsicologia Clinica di CESPIC